Il canto corale nella liturgia della nostra parrocchia

Un coro possiamo definirlo come un “insieme” di persone che cantano, spesso guidati da un maestro/a e accompagnati da uno o più strumenti. Ma il risultato di questo ”insieme” è qualcosa che va oltre la semplice somma algebrica della voce dei cantori e degli strumenti per diventare qualcosa di trascendente, qualcosa che ha il potere di avvicinarci alla bellezza suprema, che per noi credenti è Dio. Questa alchimia magica, o meglio sacra, avviene soprattutto nei cori liturgici durante una celebrazione.
Il Cardinal Martini nel 2001 scriveva:
“Se Spesso è la fede che conduce a cantare, talora è il canto che può aprire alla fede”
I cori che animano le nostre liturgie possono essere di vari tipi, solo maschili, solo femminili o misti. Possono essere accompagnati dalla chitarra, dall’organo o “a cappella” cioè senza strumenti. Di solito si posizionano nell’abside oppure nella Cantoria, al di sopra del portone di ingresso.
Nelle celebrazioni il canto ha un ruolo molto importante e alcune sezioni della liturgia prevedono espressamente il canto quando ciò è possibile: Kyrie, Gloria, Salmo, Alleluia, Credo, Santo e Agnello di Dio. Queste parti sono vere e proprie acclamazioni/invocazioni del popolo di Dio e che quindi richiedono che l’assemblea le reciti e, quando possibile, le canti. Qui si inserisce il ruolo del coro che diventa una vera e propria guida dell’assemblea dei fedeli e rende più bello, più efficace e quindi più vero ciò che la liturgia celebra in quei momenti.

Diverso è il ruolo nelle altre parti che spesso sentiamo cantare durante la celebrazione: l’Ingresso, l’Offertorio, la Comunione eucaristica e il Canto finale. Qui il coro invece non guida, ma accompagna l’assemblea e aiuta a creare la giusta predisposizione d’animo che questi momenti richiedono, come il saluto di ingresso, la predisposizione all’offerta, la meditazione intima nella la comunione eucaristica e infine il saluto di festa nel finale. In questi momenti il canto dell’assemblea è meno determinante e il singolo fedele può anche godere della musica senza l’obbligo di cantare attivamente.

Ma perché si realizzi pienamente il ruolo del coro durante la celebrazione è necessario che il coro sappia cantare bene. Tornando al Cardinal Maritini: “cantare con arte, cantare con il cuore e con la mente, cantare con riverenza e dignità e soprattutto fare cantare”. C’è poco da aggiungere a queste affermazioni che implicano per ogni cantore la passione e il talento per il canto. Ma non sono sufficienti passione e talento, è imprescindibile anche la giusta predisposizione d’animo.
Il corista non canta per se stesso, la sua voce e la sua bravura nel canto diventano dono per gli altri cantori e non sopraffazione o gara a chi canta meglio. Se questa alchimia funziona ecco che la musica corale non è più la banale somma di tutte le voci, ma qualcosa che più assomiglia al coro degli angeli che in eterno canta lode all’Altissimo e dove il merito di ognuno è il dono reciproco della sua arte nel canto. Un dono collettivo è qualcosa di infinitamente più apprezzato da Dio rispetto ad una lode bella, sentita ma singola.

In questi periodi di emergenza sanitaria purtroppo il ruolo del coro è stato necessariamente ridimensionato, essendo il canto d’assieme un fattore di rischio per la trasmissione dei virus. Questo, se da una parte ha reso più difficile l’utilizzo del coro durante le celebrazioni, dall’altra ci ha permesso di fare delle riflessioni molto personali sull’importanza della musica durante la liturgia. Tutti abbiamo fatto esperienza di messe senza canti. Se è vero che l’essenza della messa è Cristo, anche in una liturgia dimessa e senza musica, è altrettanto vero che il canto, se fatto bene, dà un aiuto determinante nella predisposizione ad accogliere Cristo nella Parola e nell’Eucarestia. La parrocchia di Cavalese ha così assicurato in tutte le celebrazioni festive la presenza del coro, anche se in forma ridotta, oppure di un organista o chitarrista con o senza cantore.
Dai periodi di crisi come quelli che stiamo vivendo, non può altro che seguire un periodo di rinascita. La frase “ne usciremo migliori” non è una banale ed utopica affermazione auto-consolatoria, ma una realtà da costruire con l’impegno di tutti, ognuno a fare al meglio e con amore ciò di cui ha la vocazione e i talenti e con lo spirito di servizio al prossimo.
Marco Benigni

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